8
Mag

Intervista a Wolfgang Feist per i 25 anni della prima Passivhaus

… dipende tutto dalla progettazione!

A 25 anni di distanza dalla costruzione della prima Passivhaus certificata, sono state poste alcune domande a Wolfgang Feist, direttore del Passivhaus Institut di Darmstadt, in merito al processo che ha portato alla progettazione prima e alla realizzazione poi di quella che è tutt’oggi la residenza della sua famiglia. Nonostante ci fossero all’epoca alcuni detrattori delle sue idee, il direttore del PHI ha dimostrato che rendere un edificio più efficiente dal punto di vista energetico è un processo possibile e duraturo.

Lei è stato un vero pioniere 25 anni fa, con la costruzione della prima casa passiva al mondo, a Darmstadt. Si ricorda ancora lo spirito pionieristico di quel momento?
Certo che mi ricordo! Erano tempi movimentati. E, come generalmente succede, le persone si occupavano di cose diverse dal futuro del pianeta. Era il periodo del collasso delle cosiddette dittature del “socialismo reale”, quando la politica energetica era quasi sinonimo di politica nucleare. Ad ogni modo, c’era un piccolo gruppo di persone che si occupavano della domanda fondamentale del perché abbiamo bisogno di così tanta energia: William Shurcliff, Arthur Rosenfeld, e Amorin Lovins negli USA, Harold Orr in Canada, Vagn Korsgaard e Joergen Noergard in Danimarca, Bo Adamson e Arne Elmroth in Svezia – una tale lista è sempre incompleta. La maggior parte di questi pionieri arrivava da discipline scientifiche anche molto diverse tra di loro ed erano impegnati nel diffondere l’utilità della scienza tra la gente.

Che cosa l’ha motivata a promuovere la Passivhaus nonché concetti di costruzione alternativi?
Già negli anni ‘70 era chiaro che l’era dell’energia fossile stesse finendo e che il problema principale di questa – allora economica – forma di energia era la produzione di biossido di carbonio. Comunque sia, in quel periodo ci si focalizzò sulla sostituzione dei combustibili fossili con quelli dell’era nucleare. Solo pochi scienziati, come ad es. il mio amico Klaus Traube, avevano attraversato l’arduo processo del valutare correttamente i rischi energetici derivanti dalla fissione nucleare. Considerando la questione in modo obiettivo, era chiaro che fosse necessaria un’altra strategia risolutiva della questione legata all’energia fossile. Di conseguenza, affrontammo il problema alle sue radici: analizzammo per che cosa questo elevato quantitativo di energia, che veniva pompata dal terreno e i cui prodotti di scarto venivano rilasciati nell’atmosfera dopo i processi di combustione, venisse usato effettivamente. Il risultato fu scioccante: la più grande quota singola di consumo energetico moderno veniva usata per riscaldare gli edifici, cosa che corrispondeva a circa 1/3! Fu immediatamente chiaro agli esperti di fisica che ciò si sarebbe potuto fare in modo più efficiente; era solo una questione di conversione. A quel punto ci siamo dedicati ai problemi pratici legati ai sistemi di riscaldamento, della distribuzione del calore, delle finestre, dei tetti e dei sistemi di ventilazione.

Che cosa aveva detto, quella volta, la sua famiglia riguardo al fatto che lei volesse costruire una casa in modo ‘alternativo’? Erano anche loro entusiasti come lei?
Costruire una casa è già di per sé snervante e richiede molto impegno. Un progetto pionieristico ancora di più… Entrambi i nostri figli erano ancora piccoli ed eccitati riguardo a tutto ciò che accadeva intorno a loro. Mia moglie Witta è stata un’attrice attiva del progetto fin dall’inizio; in fin dei conti, abbiamo completato assieme la maggior parte del nostro processo conoscitivo. I nonni erano in effetti un po’ scettici ma ben disposti verso questa ‘idea balzana’ e ci hanno supportati per quanto hanno potuto. E questo è giusto: dovevamo passare attraverso lo sforzo e lo stress assolutamente ‘normali’ di un processo costruttivo. E il fatto che volessimo costruire in un modo che era ‘diverso’ dal solito metodo non ce l’ha reso più facile. Ma abbiamo anche avuto dei supporti: gli architetti prof. Bott, Ridder e Westermeyer hanno dato forma praticamente a tutti i nostri desideri (solo verso la fine ci hanno preso un po’ in giro per i principi osservati in modo tanto rigoroso). L’IWU (Institut Wohnen und Umwelt – Istituto tedesco per l’Abitare e l’Ambiente) ha condotto una ricerca associata che accompagnasse il processo e che è stata finanziata dal Ministero dell’Economia del Bundesland dell’Assia. Abbiamo nascosto centinaia di sensori nelle parti edilizie dell’edificio. Anche ciò, quella volta, è stato più impegnativo di quanto non possa essere oggi; poiché non esisteva ancora il ‘wireless’, si dovette cablare e posare correttamente centinaia di cavi.

Foto credits Peter Cook
Intervista di Katrin Krämer

⇒ l’approfondimento continua sul numero 25 di azero