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Mar

Un prototipo di casa “mobile”, leggera, sostenibile

Il prototipo Zeropositivo nasce, un po’ come tutte le cose, quasi per caso. La decisione di partecipare al concorso “Ecoluoghi 2013 Case per un abitare sostenibile” è stata l’occasione, dopo una serie di progetti e opere realizzate aventi come tema la sostenibilità, di pensare e sperimentare un progetto di architettura per il mondo a venire. Il “sostenibile” è ormai un fenomeno di tendenza e si trova dappertutto: sostenibilità sociale, sostenibilità economica, città sostenibili, case sostenibili, consumo sostenibile, sviluppo sostenibile e così via. La sostenibilità sembra ormai essere solo un aggettivo qualificativo utilizzato a sproposito, associato spesso all’innovazione ipertecnologica o, al contrario, al concetto conservativo di un ritorno al passato, evitando di approfondire quello che potrà essere il futuro.

Crisi climatica, esaurimento delle risorse disponibili, consumo di suolo comportano la necessità di intraprendere una nuova strada, modificare processi, metodi e schemi ormai consolidati e fanno scattare la naturale resistenza umana al cambiamento. Inoltre, visto che i danni peggiori li avremo nel futuro mentre la nostra capacità di attenzione è limitata nel tempo, pensiamo di avere a disposizione sempre tempo per modificare le cose. La conservazione dello stato delle cose (soprattutto in architettura) diventa un meccanismo di difesa, caratterizzato dal rifiuto di conoscere o capire una possibile evoluzione.

La casa è per definizione un “immobile”, come tale è stata concepita e trattata nel tempo, ma, in un momento in cui tutto si trasforma a velocità supersonica, ha ancora senso pensare alla casa come a un immobile? La storica incapacità del mondo dell’edilizia di reggere il passo con le rapide trasformazioni in atto nella società, non solo non ha permesso di innovare nel progetto e costruzione degli spazi di vita, ma ha originato un patrimonio obsoleto che, proprio perché pensato come immobile, rende difficoltose e onerose le trasformazioni. Il risultato è il non fare o il conservare, che nasconde l’incapacità di vivere il nostro passato, di affrontare la memoria con criticità, di progettare la modernità del proprio tempo, di guardare a ciò che viene. Pensiamo agli edifici e alle città come reliquie quando avremmo bisogno di edifici veri, in città vere, in un ambiente vero. Ciò che è stato buono nel passato non è detto che lo sarà nel futuro. (…)

⇒ l’articolo completo è stato pubblicato sul numero 14 di azero (vai all’indice)